Ogden Wallker fa il vicesceriffo in una provincia sperduta del New Mexico – quel quadrato di terra incastonato tra l’Arizona e il Texas – su un altopiano innevato dove non accade mai nulla. È un uomo di colore in un luogo abitato perlopiù da bianchi e ispanici. Una signora anziana viene assassinata in casa. Poco distante vengono scoperti altri cadaveri. Ogden si ritrova, suo malgrado, a vestire i panni del detective. “Sospetto” è uscito negli Usa nel 2011, in Italia è arrivato due anni dopo con Nutrimenti, e con la traduzione di Paolo Cognetti – premio Strega – e Federica Bonfanti. È più di un thriller. Il romanzo è uno ma al suo interno ci sono tre storie con lo stesso protagonista e dai confini poco nitidi. Il congegno narrativo è spiazzante, genera cioè nel lettore una serie di supposizioni, dubbi, false convinzioni che lo portano a sospettare di tutto. Quello che accade in queste storie è reale o è una gigantesca illusione? Percival Everett non è nuovo a certi giochi, in “Percival Everett di Virgil Russell” il meccanismo è piuttosto simile. Le indagini ad ampio spettro e oltre confine di Ogden Walker seguono un tracciato labirintico, convulso, attraverso il quale l’autore si diverte a stuzzicare il lettore, a metterlo alla prova, coinvolgendolo in un curioso infinite jest – scritto in minuscolo – di attese e di suggestioni continue. Percival Everett è uno scrittore colto che nella vita ha allevato cavalli, suonato la chitarra jazz e insegnato all’università. Come un camaleonte cambia pelle di volta in volta senza ripetersi: sperimenta, esplora generi diversi usando registri diversi, e sa coniugare l’alto col basso come pochi altri status author volutamente incomprensibili. È uno scrittore afroamericano ma non si lascia imprigionare dal cliché dello scrittore afroamericano: la letteratura, per lui, non è missione né strumento di riscatto.
Angelo Cennamo