TORTO MARCIO – Alessandro Robecchi

TORTO MARCIO - ROBECCHI

Nel ghetto di piazza Selinunte, a Milano, gang di nordafricani e di calabresi si spartiscono più di seimila alloggi popolari. Tuguri senz’ascensore e senza acqua calda, occupati abusivamente per poche migliaia di euro da famiglie di immigrati e da giovani disoccupati. Dall’altra parte della città, un ricco imprenditore, sulla sessantina, un grosso commerciante di carni, viene ammazzato con due colpi di pistola. Il delitto porta una strana firma: sul corpo della vittima l’assassino ha collocato un sasso, bianco e liscio, grande come una pallina da golf. Non pare che l’uomo avesse rapporti con la malavita, né che avesse dei nemici: la sua condotta di vita era irreprensibile “il morto non era uno che di solito muore cosi… l’infarto sì, magari se lo aspettavano, ma le pistolettate no”. Un secondo delitto. Questa volta il malcapitato è un urbanista con buone entrature nella politica, anche lui non giovanissimo. Cosa avranno in comune questi due individui apparentemente così distanti? Cosa li lega? Quale sarà il movente degli omicidi? Gli inquirenti pensano ad un complotto contro lo Stato, seguono la pista dell’integralismo islamico: a Milano non c’è la moschea e “quei sassi vogliono dire: dai, su, milanesi, costruiteci la moschea, se non vi facciamo fuori tutti, uno a uno”. Il cardinale convoca una veglia di preghiera dedicata alle vittime del terrorismo in città, che nel frattempo sono diventate tre. Da Roma arrivano la Digos e un profiler israeliano, a pattugliare le strade viene mandato l’esercito. I giornali lanciano proclami e la politica si divide. Eppure qualcosa non torna. Il questore Gregori decide allora di promuovere un’indagine parallela e clandestina, lontana dal chiasso dei media. Se ne occuperanno Ghezzi e Carrella, due poliziotti molto diversi tra loro, un po’ burberi e dai modi spicci, che per seguire il caso dovranno fingere di essere in ferie. Nell’indagine si ritroverà coinvolto accidentalmente anche un personaggio insospettabile: Carlo Monterossi, autore di un  programma televisivo trash chiamato “Crazy Love”, la tv del dolore e della sfiga, la Fabbrica Della Merda ”con tanto di cachet, contrattini, liberatorie e istruzioni per piangere meglio” condotto dalla spregiudicata ed esuberante Flora De Pisis. Cari lettori, non lo giudicate male, Monterossi: questo lavoro lui lo fa solo per guadagnarsi da vivere. Ancora poche puntate e il nostro Carlo potrà finalmente dedicarsi al suo progetto più ambito: scrivere un libro su Bob Dylan, con tanti saluti alla De Pisis e alla sua Fabbrica Della Merda.

Buona parte della letteratura prodotta in Italia negli ultimi venti anni è letteratura di genere: gialli, polizieschi, noir, thriller, le definizioni si sprecano, i nomi degli scrittori pure: Camilleri, Lucarelli, Carrisi, Carofiglio, De Giovanni, Manzini. Non saranno tutti dei Michael Connelly o dei Simenon, ci mancherebbe, ma alcuni di loro sono davvero bravi. Alessandro Robecchi è tra questi. Torto marcio, edito da Sellerio – l’editore palermitano ormai specializzato nel genere noir – è il romanzo della maturità e, ne siamo sicuri, della sua consacrazione. Diciamo subito che la definizione di romanzo giallo, al libro di Robecchi, gli va un po’ stretta. Torto Marcio è infatti molto di più di una storia poliziesca, di una sequela di delitti e di investigazioni convulse: è soprattutto una panoramica, fedele, precisa e credibile, sulla Milano di oggi; uno spaccato amaro ma anche ironico della nostra società che oltrepassa la semplice narrazione del crimine. Per certi versi, è il grande romanzo italiano che molti scrittori, non di genere, spesso inseguono invano. Robecchi è un gran lettore di noir e di thriller americani, da Winslow a Lansdale. Lo avessi conosciuto prima, mi sarei risparmiato la saga di Hap & Leonard, e chissà quanti altri libri. La sua scrittura è tagliente, asciutta, veloce, comica, con frasi brevi ma incisive, e con dialoghi serrati. “Robecchi non scrive gialli, scrive blues”, ha scritto Antonio D’Orrico su La Lettura del Corriere della sera. È la migliore definizione, forse, per uno scrittore dallo stile potente e ritmato come quello delle ballate di Bob Dylan e della buona narrativa americana.

Angelo Cennamo

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