
A Casale Normanno la piazza del municipio è ancora deserta. L’alba estiva si insinua silenziosa nelle stradine del borgo sfiorando i portoni e i tavolini dei bar in attesa. Una monetina di sole fa capolino sopra la montagna minacciosa illuminando le ultime gocce di pioggia sdraiate sulle auto in sosta. Le antenne della tv disegnano esili cervi sulle tegole marroni dei tetti, incorniciati da precise grondaie e da camini spenti. Lungo la via del pioppeto, l’unica percorribile dopo l’ultima frana sulla Statale, l’autista della corriera dà due colpi di clacson prima di spuntare dall’ultimo tornante che precede il poggio di San Biagio, nella contrada Brenno, la più popolosa di Casale con i suoi 640 abitanti di cui 539 elettori.
Alla scuola elementare Falcone e Borsellino i cancelli di ferro battuto sono spalancati sul viale bordato di cipressi dove un funzionario del Comune sta aspettando il dottor Pasini per consegnargli un plico. Vicino a lui, due carabinieri chiacchierano con una signora bassina, di mezza età, con gli occhialini rotondi di metallo e una borsetta nera a tracolla, appena scesa da una Ford Fiesta che ora è ferma davanti al cancello con il motore spento. Intorno a loro odore di muschio e di fango.
Lei è una scrutatrice? Chiede il funzionario.
Sì, e quel signore in macchina è mio marito – un uomo piccino con un berretto di tela blu consumato e due baffetti sottili come i lacci delle scarpe. Dalle orecchie gli spuntano dei ciuffetti di peluria neri e sul mento ha una fossettina delicata come il suo naso, piccolo e appuntito – Sa, non conoscevo la strada, la frana ha complicato tutto, vengo da Pozzano.
Ho sentito dire che ci vorranno più di due mesi, dice il funzionario accennando un saluto all’omino nella Ford.
Allora vado? chiede il marito alla donna, sporgendosi dal finestrino lato passeggero.
Sì, caro, vai pure.
Quanto durerà lo spoglio? chiede la donna al funzionario.
Non saprei, la volta scorsa è durato meno di due ore. Direi che a mezzanotte, massimo all’una, avrete finito.
Dice che finiremo massimo all’una.
Va bene, mi farò trovare qui per mezzanotte, buon lavoro.
Dall’altro lato della strada due ragazzi sui vent’anni, stessa altezza, uno con i capelli lunghi e gli occhiali spessi, l’altro con il cranio rasato, un filo di barba e una felpa arancione, spavaldi, stanno per varcare il cancello. A breve distanza una donna alta e magra con i capelli biondi avanza a grandi falcate e a testa bassa verso la scuola. Ha dei jeans attillati, strappati all’altezza delle ginocchia, un paio di stivaletti col tacco e dei grossi occhiali scuri griffati che le coprono la parte alta del volto equino, sul quale risalta la bocca carnosa e colorata di rosso scuro.
Alla sig.ra della Ford le squilla il cellulare, la suoneria è una vecchia canzone di Fred Bongusto. I carabinieri si voltano, poi si guardano e sorridono, mentre il funzionario del Comune fischia la prima strofa.
Cosa c’è?
Non ricordo se hai detto a mezzanotte o all’una, le dice il marito dall’altro capo del telefono.
Ho detto che non faremo più tardi dell’una.
Ah, d’accordo. Allora vengo a mezzanotte e aspetto fuori al cancello. Giusto?
Giusto. Ora però fammi chiudere, credo che stia arrivando qualcuno.
La Mercedes metallizzata del dottor Pasini buca il silenzio del cortile sollevando una nuvola di polvere. Con lui c’è un giovanotto sui trent’anni, moro e dalla carnagione olivastra.
Eccoci, dice uscendo dall’auto.
Buongiorno a tutti, dice la donna bionda appena entrata nel vialetto della scuola.
Ciao ragazzi.
Ciao, dice la signora di mezza età alla donna bionda.
Allora, signori, ci siamo tutti? Un sorriso ottuso dilata le guance flosce e ben rasate di Pasini.
Tutti, dice il ragazzo moro che lo accompagna dopo aver contato con gli occhi i presenti.
La sezione numero uno del seggio numero uno è l’aula più ampia dell’edificio, entrando è la prima sulla destra. Le pareti sono bianche, ricoperte di disegni e di mosaici colorati, il pavimento è di gomma dura di un verde sala operatoria. La parete di fronte all’ingresso è occupata da un enorme finestrone aperto sul cortile alberato. Al soffitto tre luci al neon e di fianco alla porta un armadietto blindato, grigio ferro, chiuso a chiave. Nella stanza si sente un forte odore di gesso e di detersivo. L’urna di cartone è stata sistemata il giorno prima sul banchetto centrale di formica. Su un altro banco è ammassato il materiale elettorale con due grossi rotoli di nastro adesivo e un plico bianco. Giornali, matite, un pacchetto di caramelle e un’agendina blu lasciata non si sa da chi. Vicino alla parete in fondo, tre cabine di legno scuro bordate di alluminio, attendono.
Posso andare io, dice Marco al presidente del seggio che ha appena inforcato le lenti da vicino per sbirciare l’opuscolo del regolamento. Il segretario è in piedi vicino al finestrone, la donna bionda, di fronte a lui, fa scorrere l’indice sul display del telefono protetto da un cover gommosa e brillantinata, mentre la signora di mezza età è seduta dietro al tavolo centrale dov’è posizionata l’urna, con la borsetta in grembo. Guarda davanti a sé verso un punto indefinito. Diego, l’altro scrutatore, è fuori a fumare una sigaretta con il funzionario del Comune.
Sono le 10,00 e non ha ancora votato nessuno. Il bar Tiffany, il più vicino al seggio, è a quattrocento metri di distanza, lungo la via del pioppeto, dopo il primo curvone, lo riconosci da una grossa insegna rosa a forma di calice, spiega Diego a Marco.
D’accordo, risponde Pasini, puoi prendere la mia auto, se vuoi. Sono sei caffè, quattro cornetti vuoti e due brioches alla crema. Uscendo, Marco aggiunge all’ordinazione altri due caffè per i carabinieri, poi monta sulla Mercedes nuova di Pasini e sgomma verso l’uscita.
Il segretario si avvicina alla donna bionda. Ha una mano in tasca e dalla camicia slim, sbottonata per metà, gli pende un crocifisso d’oro massiccio modello Vaticano. Sorride con i denti regolari e bianchissimi, e le sussurra qualcosa all’orecchio. Lei scoppia a ridere, poi con il braccio lo allontana, ma lui torna ad avvicinarsi, sicuro di aver fatto presa.
Pasini con gli occhi chiusi ripete a memoria l’articolo tre del regolamento. A mezzogiorno avrà imparato anche il nove e il dieci. La sig.ra di mezza età lo fissa. E’ sempre immobile con la borsetta in grembo e le mani sulla borsetta, quasi spaventata. Marco le ha già trovato il soprannome: la sfinge.
Diego entra ed esce dalla stanza, ha le mani in tasca e sbuffa fingendo di calciare qualcosa sul linoleum del corridoio a scacchi grigi. I carabinieri parlano di un collega che ha rifiutato il trasferimento a Gubbio. Vedrai, ora sono cazzi, dice il più giovane all’altro.
La mamma di Carlo fa la puttana – e il naufragar m’è dolce in questo water – Odio Napoli – Juve for ever – Mirko è gay – chi legge è un coglione – le donne sono tutte zoccole – Mirko è frocio – Buffon Number 1 – Rocco Hunt – Mirko è una checca – Forza Pozzano – Yes we can – la mamma di Franco è racchia – merde, siete tutti merde – Mirko è andato al gay pride – ti amo Cristina – 348566664332111 – Viva la Lega Beppe Torrisi è una testa di cazzo – Mirko è un trans – Vesuvio lavali – Cristiano Ronaldo – vi ammazzo tutti – Inter olè – la sorella di Gianluca è bona – Fabio sarai bocciato – viva la fica – Mirko ha un fidanzato – 400 euro per la gita a Verona siete ladri! – Salvini uno di noi – la mamma di Carlo lavora in un bordello – Mirko è ricchione – chiamami al 34866677432109 non te ne pentirai – boia chi molla – Jimmy, sei un negro di merda – squoshhhhhhhh.
Non ho mai avuto storie lunghe, dice il segretario alla donna bionda, mentre lei fa scorrere l’indice sul display del telefonino. Tranne una volta, ma è stato tanto tempo fa, avevo da poco finito il liceo, si chiamava Miriam, era la figlia di un’amica di mia madre, bella ragazza, mora, simpatica, amava la musica classica – si sistema la patta dei pantaloni, nel frattempo con la lingua si perlustra il molare del giudizio per liberarsi di un residuo di cornetto – credo di non essere fatto per le storie lunghe, sono uno spirito libero io.
Dicevi del liceo?
Ore 12,30 non ha votato nessuno.
Ore 13,00 non ha votato nessuno.
Ore 13,30 non ha votato nessuno.
Quante margherite, tre?
Io una diavola, dice il segretario alzando il braccio. Anche per te una diavola? chiede a bassa voce alla donna bionda, avvicinando la bocca al lobo del suo orecchio sinistro.
Dicevi del liceo?
Pizzeria Lo Scuro?
Dica.
Il sesso è importante, ma anche il dialogo. Ridere è importante. Una volta ero fidanzato con un’attrice porno, una tale Cinzia di Parma o vicino Parma, insomma di quelle parti lì. Era un vero schianto, gambe lunghissime, capelli rossi e una voce sensuale, simile alla tua. La voce è importante. Non ci crederai: non abbiamo mai fatto l’amore. Ti dico mai! Caro, non so come spiegarlo, è che non mi va di mischiare il lavoro con i sentimenti, mi diceva. Ma che discorso è? Le ho detto: bella mia, ascolta, ma con gli altri sì e con il tuo fidanzato no? Insomma, per non portartela per le lunghe, dopo neanche un mese che stavamo insieme le ho preparato la valigia e gliel’ho messa sul pianerottolo. Ogni tanto mi scrive da Città del Messico, ha sposato un narcotrafficante molto più grande di lei. Che schifo! Il segretario guarda fuori dal finestrone mentre fa scivolare le dita della mano tra i capelli della donna bionda seduta di fianco a lui col telefonino connesso su e-bay.
Incredibile, una borsa Fendi a soli 25 euro, sarà sicuramente un falso.
Ore 15,00 non ha votato nessuno.
Non devi oltrepassare la linea gialla. Fermo lì. Scusa, ma tu hai sputato da qui, dice Diego indicando a Marco l’ultimo gradino della scalinata di marmo sul retro. Senti, puoi sporgerti anche oltre la linea ma devi stare attento a non superarla con i piedi. Non la supero, stai tranquillo. Uno, due, tre e quattro, Diego conta con i passi i metri percorsi dal suo sputo. Quello di Marco, più denso e verdognolo, è arrivato a sei metri.
Devo bere qualcosa, ho la bocca asciutta.
Il segreto è puntare in alto, guarda me. Phua! La saliva compatta di Marco fende l’aria come un giavellotto disegnando un lungo semicerchio prima di schiantarsi nell’aiuola vicino al muretto di recinsione. Hai visto la parabola?
Sì, bella, direi prodigiosa. Ma ho la bocca asciutta, dice Diego. Vado a bere prima.
E’ proprio qui vicino, il gestore è un mio caro amico di infanzia. C’è una terrazza enorme sul belvedere e il venerdì sera si balla il latino americano. Musica dal vivo, eh. Sono aperti tutta la notte, al piano di sopra ci sono anche delle camere nel caso volessimo fermarci, dice il segretario massaggiandosi i pettorali sotto la camicia nera di acrilico, con due grossi aloni di sudore all’altezza delle ascelle.
La donna bionda lo guarda sorridendo. Proprio qui vicino? Il segretario le fa di sì con la testa avvicinando il naso aquilino alla sua guancia imbevuta di Chanel.
La donna di mezza età si è appisolata. E’ sempre seduta dietro al tavolo con la borsetta sulle gambe. La testa però si è inclinata in avanti di 45 gradi. Un sibilo fa voltare Pasini che intanto ripete l’articolo 23 del regolamento. Si è allentato il nodo della cravatta ma non ha ancora tolto la giacca oversize a tre bottoni comprata all’outlet F.lli Pino di Brughero.
Una leggere brezza da nord fa muovere le punte dei cipressi piantati in fila lungo il cortile. Un’auto sfreccia davanti al cancello sollevando una nuvola di polvere. I carabinieri sono in piedi sulla scalinata, uno dei due si è tolto il cappello mentre con l’altra mano si aggiusta i capelli bagnati di gel.
Ore 18,00 non ha votato nessuno.
Cazzo, presidente, ma perché non ce andiamo? Marco rientra dopo l’estenuante gara di sputi del primo pomeriggio. La sfinge dorme.
Imbecille non possiamo. Dov’è Diego? chiede Pasini. E’ in bagno.
Ma non vota nessuno!
I tuoi non votano?
Mio padre è in ospedale, mia madre si è trasferita a Belluno.
A Belluno? Sono separati?
Non sono cazzi suoi, scusi eh.
La mamma di Francy è una grandissima troia – chiamami al 3458886541097 – Bergamo merda – Juve capolista – Mirko è un culatone – Anche a Mirabilandia 400 euro. Siete ladri! – squoshhhh.
Ore 21,00 non ha votato nessuno.
Diego si scaccola il naso, poi arrotola una mollica di muco e la fionda con le dita contro l’urna. Marco fa scivolare il pollice sinistro sul display del telefonino, ha appena scoperto che tra i nuovi follower ha HOT-SUSY 93. Con l’altra mano intanto si strofina lentamente la patta dei pantaloni.
Signora, Pasini prova a svegliare la sfinge mentre disegna figure geometriche su un foglio a quadretti.
Signora, insiste. Signora! La sfinge non si muove, ha la testa sempre inclinata in avanti. Pasini le tocca la spalla con delicatezza. Signora, Signora si svegli. Oddio.
Ragazzi! Maresciallo!
Il suono della sirena precede l’ambulanza dietro il curvone buio sulla via del pioppeto. Il suono si fa sempre più forte, poi l’ambulanza imbocca il vialetto colorando d’azzurro i cipressi e la facciata della scuola. Due infermieri aitanti saltano giù dal mezzo e corrono ad aprire il portellone posteriore, estraggono la barella attrezzata, sono affiancati da un altro uomo, forse un medico, col camice bianco aperto su una tuta verde. E’ alto, brizzolato, con un filo di pancia. La sfinge è adagiata su un divanetto logoro, di velluto, nel corridoio subito dietro la vetrata dell’ingresso. Il medico si fa spazio tra gli scrutatori e il funzionario. Si accovaccia su di lei e le sente il polso, poi guarda Pasini. E’ morta, dice. La donna bionda piange con la testa appoggiata sul petto del segretario, lui la stringe a sé con gli occhi chiusi sussurandole qualcosa all’orecchio. Marco e Diego osservano in silenzio gli infermieri che caricano lentamente la signora sulla barella prima di scomparire dentro l’ambulanza. La sirena è spenta. Fuori alla scuola c’è una Ford Fiesta.
Angelo Cennamo