SEI STATO FELICE, GIOVANNI – Giovanni Arpino

Sei stato felice, Giovanni - Giovanni Arpino

Di Giovanni Arpino ricordavo la collaborazione con Il Giornale di Indro Montanelli. Erano i primi anni Ottanta, Il Giornale era un quotidiano controcorrente, lo è sempre stato, spigoloso ed arguto come il suo direttore, Arpino ne curava la pagina culturale, ma scriveva anche di cronaca e di costume. Ritrovarlo in libreria con il suo romanzo d’esordio, ripubblicato dalla minimum fax con una veste grafica rinnovata ed elegante, è stata una piacevole sorpresa. Sei stato felice, Giovanni Arpino lo scrisse nel 1950, a poco più di vent’anni, durante gli studi universitari, in poche settimane, dentro una stamberga genovese. Di questo libro l’autore non conservò mai un buon ricordo, tanto da essere contrario ad una sua ristampa. Chissà perché lo giudicava un romanzo imperfetto, zoppicante “Il mio gettone d’esordio è picaresco, anarchico, corsaro. Il suo sigillo è l’avventura, che si innerva ovunque, in casa e fuori, sui terreni conosciuti a memoria e no, tutti permeabili alla sorpresa, al colpo di dati”. Le 240 pagine dell’ultima edizione scorrono via con leggerezza. Il piglio è quello del romanziere americano, Arpino amava i classici della letteratura d’oltreoceano: Hemingway, Faulkner, Steinbeck. E non è un caso se il plot consegnato alla Einaudi dal giovane e bizzarro studente piemontese sia stato promosso proprio da uno scrittore che la cultura americana forse l’amò più di quella del suo paese: Elio Vittorini “Caro Arpino, il suo libro mi è veramente piaciuto”.

Sei stato felice, Giovanni non ha una trama, è una finestra spalancata sulla vita di uno scansafatiche, belloccio, squattrinato, che se ne va in giro senza meta per i carruggi genovesi in cerca di fortuna o di chissà cosa “A me piaceva vivere così, alzarmi a sonno finito, essere legato solo al sole o al freddo, andare al porto, passeggiare”. Gli scenari squallidi ma ricchi di umanità nei quali Arpino colloca i personaggi del racconto, il protagonista e i suoi compagni di viaggio: Mario, Olga, Mangiabuchi, sono gli stessi che ritroveremo più avanti nelle canzoni di Fabrizio De André e di Gino Paoli. La Genova di Arpino è una città sofferente, impoverita dalla guerra, brulicante di traffici oscuri, ma smaniosa di rimettersi in cammino e di guardare al futuro con speranza. Il porto, i vicoli affollati di marinai e di puttane, gli odori, i sapori mediterranei ci ricordano la Napoli di Ermanno Rea e la Marsiglia di Jean-Claude Izzo. Il girovago di Arpino non ha le idee molto chiare, vive alla giornata, litiga, si ubriaca, contrae debiti, e non distingue il sesso dall’amore

“Ero stato un mucchio di cose, mai un uomo che comincia a muoversi davvero. Ero stato un mucchio di vite cominciate e lasciate lì una per una come vecchi fazzoletti per noia stupidaggine irritazione. Ora quelle vite dovevano servirmi”.

Una storia di sbronze, un inno all’amicizia, alla libertà, alla vita.

Ero stato felice perché troppo libero e senza legami, ora potevo scegliere e fare e disfare ogni cosa a modo mio“. È tempo di ripartire, Giovanni. Per dove, non ha importanza.

Angelo Cennamo

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