“Al commissario Luigi Alfredo Ricciardi non dispiaceva lavorare di domenica, e quella era un’altra delle sue stranezze“
La storia di come Maurizio de Giovanni, nel 2005 impiegato di banca prossimo ai cinquanta, sia diventato uno scrittore di successo improvvisamente, a Napoli si dice “bello e buono”, ormai la conoscono in tanti: un amico lo iscrive per scherzo a un concorso letterario che si tiene allo storico bar Gambrinus, e lui restituisce lo scherzo aggiudicandosi il primo posto. “Non avevo mai scritto nulla prima di allora”. Prima di allora no, ma da quel momento il bancario non ha smesso più di scrivere e di sfornare romanzi e racconti, anche tre in un anno, vendendo migliaia di copie in Italia e all’estero. Luigi Alfredo Ricciardi è probabilmente la sua creatura migliore. La serie del commissario di origini nobili cilentane, e trapiantato a Napoli negli anni del fascismo, de Giovanni l’alterna a quella di un altro poliziotto di successo, il contemporaneo Giuseppe Lojacono, ispettore in servizio al commissariato di Pizzofalcone, impersonato da Alessandro Gassman in una fortunata fiction televisiva mandata in onda dalla Rai.
Dicevamo delle stranezze di Ricciardi, giovanotto tutto d’un pezzo che potrebbe fare a meno di guadagnarsi il suo misero stipendio rischiando la vita per le strade di Napoli essendo il rampollo di una ricca famiglia di baroni. Ma la stranezza più sorprendente del commissario sono le sue visioni ultraterrene, quel misterioso superpotere, del quale Luigi farebbe sicuramente a meno, che gli consente di vedere i morti ammazzati nel momento del trapasso e di ascoltarne le ultime parole. Il successo di Ricciardi si spiega fondamentalmente con tre argomentazioni: 1) l’abilità di Maurizio de Giovanni – scrittore vero, non finiremo mai di ringraziare quel suo amico che nel 2005 lo condusse per gioco al Gambrinus; 2) la collocazione storico-ambientale delle trame da lui ideate: la Napoli degli anni ’30, con il suo folklore, la poesia, la magia, la miseria e la nobiltà che si mescolano nelle stesse strade, le atmosfere melodrammatiche e teatrali che ci riportano alle commedie di Eduardo, a Viviani, alle arie di Enrico Caruso, di E.A. Mario e a tanti altri artisti del primo Novecento; 3) la perfezione dell’impianto narrativo, il giallo come pretesto per raccontare molto altro: conflitti sociali, umori, sentimenti, perfino la gastronomia. Il posto di ognuno è il terzo capitolo della serie. Il romanzo è ambientato nella torrida estate del 1931. Il caldo penetra ovunque, per le strade, nelle piazze, nelle stanze buie dei palazzi, soffoca, irrita, e istiga alla gelosia. Una nobildonna affascinante e molto chiacchierata viene uccisa a casa sua. Ricciardi deve barcamenarsi tra mariti e amanti traditi, figli vendicativi ed alti funzionari che lo invitano alla prudenza, essendo coinvolte nelle indagini persone potenti e molto in vista. Come sempre, de Giovanni intreccia la vicenda poliziesca a quella privata del commissario, uomo determinato e coraggioso nel proprio lavoro, ma piuttosto timido, per non dire goffo, nelle relazioni amorose. Il bel Luigi se lo contendono due donne: Livia, vedova di un noto tenore, bellissima e truccatissima, disposta a tutto per sedurlo, ed Enrica, la giovane zitella figlia del cappellaio, ragazza semplice e inesperta, sua dirimpettaia, che il commissario spia ogni sera dalla finestra della sua camera prima di addormentarsi. Pane, amore e delitti.
Angelo Cennamo