Da casa mia alla panchina di Momo sono quaranta passi. Li ho contati. Momo è lì che rovista nella sua busta bianca, cerca la cicca di una sigaretta. Nell’altra mano stringe un accendino. Di fronte a lui, la spiaggia prende i primi colori dell’alba. L’aria è fresca e dalla baia giunge il suono di una nave. Un transatlantico. Momo si ferma e la guarda. Stringe gli occhi come se il suono lo catturarasse con lo sguardo. Il volto è scavato e un filo di barba lo ricopre fino agli zigomi, alti e sporgenti. In testa ha un basco, di quelli militari. Lo porta inclinato come un vero soldato. Le mani ora le ha appoggiate alla panchina in una posizione di attesa. Le dita lunghe, nodose. Le unghie segnate di nero.
– Momo! –
– Ehi, amico. Hai birra? – fa il gesto del bere.
– No birra. Biscotti. Buoni –
Sorride. Toglie il cappello, si passa una mano tra i capelli, sottili, scuri come la pece, poi allunga il braccio per prendere il pacco.
– Grazie, amico mio – abbassa la testa e mi fa un mezzo inchino.
– Quanto manca? –
– Non molto. Due giorni. Tre –
Guardiamo il mare nella stessa direzione. È calmo, senza increspature, dello stesso colore del cielo. Due ragazzi corrono uno di fianco all’altro, ci passano davanti lasciando una scia di sudore e gommapiuma.
Saluto Momo poi salgo sulla bici da corsa e pedalo senza sosta lungo tutto il molo fino al negozio di esche. Alice è già arrivata, mi passa un caffè fumante, appena preparato con la cialda. Senza zucchero, sa che lo preferisco amaro.
– Che dice, Momo? –
– Niente. Aspetta –
– Non si rassegna –
Faccio di no con la testa.
– È dura.
– Domani non vengo –
– Come mai? –
– Devo accompagnare Jim dal medico. Ha sempre mal di testa –
Alice abbassa gli occhi. Sembra preoccupata. Ha un camicetta bianca stropicciata e un jeans attillato. Jim lo ha tirato su da sola col sussidio di disoccupazione e qualche lavoretto extra. L’ho conosciuta al Chico’s. Serviva ai tavoli tutte le sere. Le chiesi se le andava di venire da me al negozio. Non se lo fece ripetere due volte. Il lavoro le piace, è brava, e la paga è buona. Ha abbandonato il camper rubato a suo padre, giù a Sacramento, e preso in fitto due camere dietro la stazione. I fine settimana mi fermo a casa sua, le faccio la spesa, qualche riparazione, e quando Jim è fuori a giocare con gli amici, restiamo sotto le coperte a fare quattro chiacchiere. Vuoi sposarmi, Alice? Non gliel’ho mai chiesto. Mi piacerebbe. Il fatto è che Alice ha la metà dei miei anni, anche se ne dimostra dieci di più. So che prima o poi si rimetterà in viaggio, lei e Jim da soli, senza una vera meta. Non rimane mai nello stesso posto per più di qualche mese. Una volta mi disse che le sarebbe piaciuto trasferirsi in Canada.
– Quanto manca, Momo? –
– Due giorni. Al massimo tre –
– Ciao –
Angelo Cennamo