In ogni libro di James Ellroy c’è un capitolo non scritto nel quale si racconta l’assassinio di una donna. Nel 1958 Ellroy è un bambino di dieci anni e quella donna è sua madre. Il delitto, rimasto irrisolto, accende la curiosità del ragazzino per il mondo del crimine, spingendolo prima oltre l’orlo dell’abisso poi alla resurrezione, proprio grazie alla letteratura. La storia di American tabloid ha inizio nello stesso anno. Fin da subito, il libro è una gigantesca scena del delitto, “quel” delitto e molti altri ancora: l’America-tutta è una gigantesca scena del delitto “L’America non è mai stata innocente” scrive Ellroy nell’incipit. Raccontare la trama del romanzo è impossibile per il fitto susseguirsi di fatti, alcuni veramente accaduti, altri inventati. Una decina sono i protagonisti, molte di più le seconde linee. Ellroy riscrive un pezzo di storia americana in chiave noir. Sono gli anni dell’ascesa al potere di John Fitzgerald Kennedy e della sua tragica fine, praticamente la vicenda più scioccante dell’ultimo secolo per la società americana dopo la guerra in Vietnam. Mescolando verità e finzione, Ellroy ne ha tratto un romanzo potente con pochi precedenti nel genere thriller-crime. American tabloid è un libro tentacolare nel quale è difficile distinguere le vittime dai carnefici, i vincitori dai vinti, ognuno dei personaggi è pervaso dal male, ed è proprio il male a muovere, come pedine su una scacchiera, questi uomini e queste donne sulla scena del crimine. Non mi addentrerò nei mille intrecci riportati anche attraverso una verosimile ricostruzione di comunicazioni riservate e di trascrizioni di intercettazioni telefoniche, mi limiterò a delineare il quadro generale della storia, a tracciare i blocchi – tentacoli – essenziali del romanzo. Prima di tutto loro: i Kennedy. Joe, il capostipite, ci viene descritto come un ex produttore cinematografico poi finanziatore di traffici oscuri, disposto a qualunque compromesso pur di “comprare” la presidenza del figlio John. Dei due fratelli, Bob sembra il più assennato: prudente ai limiti del bigottismo, metodico, ineccepibile anche come padre e marito. Di tutt’altra pasta il fratello Jack: pragmatico, spregiudicato, soprattutto un insaziabile donnaiolo per non dire maniaco sessuale – qui Ellroy non ha dovuto lavorare troppo di fantasia. Secondo tentacolo: Fbi. Il suo capo indiscusso, personaggio leggendario, più letterario che storico – lo ritroviamo in almeno una decina di romanzi americani – è J. Edgar Hoover. Hoover detesta i Kennedy, ed è convinto che il comunismo sia più pericoloso della mafia, anche perché la mafia, dice, non esiste. Terzo tentacolo: Jimmy Hoffa con il suo sindacato di trasporti legato alla criminalità organizzata. Nel 1958, Bob Kennedy lavora in una commissione parlamentare allo scopo di incastrare Hoffa e smascherare i suoi intrallazzi malavitosi: è questa la traccia sulla quale si muove tutto il romanzo. Quarto tentacolo: la stampa, ovvero Howard Hughes, editore miliardario, drogato, paranoico, proprietario di una rivista scandalistica chiamata “Hush-Hush”. Con lui, Pete Bondurant, ex sceriffo, oggi investigatore privato, all’occorrenza pusher. Lascio per ultimi i due principali protagonisti della storia: Kemper Boyd e Ward Littel. Sono due ex agenti federali infiltrati da Edgar Hoover nel clan dei Kennedy per rovinare i piani presidenziali di Jack. Kemper è un personaggio diabolico: intelligente, scaltro, cinico, arrampicatore sociale oltre ogni forma di decenza, ricattatore, spia capace di giocare su più tavoli. Da uomo di Hoover diventa fido – si fa per dire – consigliere di Bob e Jack Kennedy. Ward Littel segue la scia del suo mentore. Le parabole dei due supereroi del male seguiranno traiettorie diverse fino ad intrecciarsi inesorabilmente in una delle scene finali e più spettacolari del libro. Il romanzo si apre con le immagini mandate dai tg della rivoluzione cubana: Castro il barbuto ha rovesciato il governo di Fulgenzio Batista. L’Avana al centro dei disordini, la sua miseria, il degrado, mi ha fatto ricordare la Napoli del dopoguerra raccontata da Curzio Malaparte ne La pelle: il contrabbando, la prostituzione, ma anche tanta umanità e speranza. La storia di Ellroy è una spola continua tra Usa e Cuba, ed è proprio la rivolta cubana ad innescare le spirali più noir della narrazione fino alle sue ultime pagine, quelle cioè dell’attentato a Dallas del 22 novembre del 1963. Tutto questo e molto altro è American tabloid, il primo volume di una trilogia cult – Sei pezzi da mille e Il sangue è randagio gli altri due capitoli – con la quale James Ellroy ha dato prova non solo di essere tra i maestri indiscussi del thriller ma anche un abile costruttore di romanzi storici. Frasi brevi come dei tweet, ritmo forsennato, battute fulminanti. Leggere questo libro è come avventurarsi sulle montagne russe: a giro finito, reggetevi forte e prendete fiato.
Angelo Cennamo