Se vuoi fare lo scrittore e ti chiami Jonathan, sei già a buon punto. Ce ne sono troppi nella letteratura, scrive Franzen in Purity. Ma il Jonathan di cui voglio parlarvi non è del Midwest degli Stati Uniti, abita a Rozzano – Rozzangeles – estrema periferia sud di Milano, terra di rapper e non solo. Non ti liberi di Rozzano, scrive lui, lui è Jonathan Bazzi: te la porti dietro. Febbre è il suo libro d’esordio, un memoir per raccontare la scoperta di una malattia subdola, sfiancante, incessante: la sindrome da HIV. Bazzi lo fa con leggerezza e intensità, alternando i dettagli biomedici al romanzo della propria storia familiare. Figlio per sbaglio di due genitori giovani e sprovveduti separatisi poco dopo la sua nascita, chiamato così per il titolo di un programma televisivo di Ambrogio Fogar, Jonathan cresce nel melting pot di una parentela un po’ terrona un po’ lombarda. Milano è lontana, la Terra Promessa dove approdare per scrollarsi di dosso miseria, pregiudizi, iella. La notizia dell’HIV non sembra scuoterlo più di tanto, è quasi un sollievo: le alternative potevano essere peggiori. La scuola, i centri commerciali, il degrado, la toponomastica di Rozzano, i colori ancora vivi di una napoletanità animosa filtrata attraverso la migrazione, l’ospedale, gli amici, il fidanzato Marius, la narrazione di Bazzi è ampia, densa di fatti, dettagli, riflessioni. Bazzi sa scrivere, è perfettamente calato nel suo tempo, è il volto nuovo di un canone – italiano – che non può prescindere da certi linguaggi. Bazzi li conosce. Li applica. Il romanzo non è morto, il romanzo continua con giovani autori di talento, Bazzi è tra questi. Provaci ancora, Jon.
Angelo Cennamo