NOMADLAND – Jessica Bruder

Quando leggete un libro, non chiedetevi se è una storia vera, chiedetevi se è una storia finta. A Jessica Bruder – giornalista pluripremiata che si occupa di sottoculture e questioni sociali – le sono voluti tre anni di preparazione e quindicimila miglia percorsi in camper, da Nord a Sud, da Est a Ovest, per scrivere il suo libro inchiesta, così vero da sembrare un romanzo. “Nomadland” racconta un pezzo invisibile della società americana: decine, centinaia, forse migliaia di uomini e donne, perlopiù anziani, che per “sopravvivere all’America” e alla crisi, si mettono in marcia verso un destino ignoto. È un’America nomade, “fuori dai radar”. Li chiamano workcamper, moderni viaggiatori mobili che accettano lavori temporanei in cambio di un posto per roulotte gratuito. Il workcamping può sembrare uno stile di vita gioioso ed eccentrico, molti di coloro che lo praticano sono temprati e hanno spirito d’avventura, non sembrano delle vittime, in realtà la loro è una dura strategia di contrasto alla povertà. Per riempire stomaco e serbatoi, i workcamper faticano tutto il giorno facendo anche lavori pesanti, spesso senza garanzie e tutele. “La prima volta che dormi in macchina nel centro della città, ti senti una totale fallita o un senzatetto…ma è questo il bello delle persone: si abituano a tutto”. Linda May è una nonna sessantenne, ex alcolista; è lei nel racconto della Bruder a dare il volto e la voce a questi “senza casa” – preferiscono definirsi così anziché “senza tetto”. Sono più di quanto si possa immaginare, una tribù, una comunità, esiste perfino un blog che li tiene in contatto fornendo suggerimenti, notizie utili. Sentite come descrive l’esperienza del workcamping una ex giornalista della ABC rimasta senza lavoro: “Ho trovato la mia gente: un gruppo raffazzonato di disadattati che mi hanno circondato con amore e accettazione. Per disadattati non intendo perdenti e sbandati. Erano intelligenti, compassionevoli, laboriosi americani a cui è caduta la benda dagli occhi. Dopo una vita a rincorrere il Sogno Americano, sono arrivati alla conclusione che non era altro che un gigantesco imbroglio.” Lavanderie a gettoni, abbonamenti in palestra per fare la doccia: sono mille gli espedienti dei nomadi per alleggerire disagi e rimuovere le costrizioni “L’ultimo luogo libero d’America è un parcheggio.”  Una città simbolo di questo movimento è Quartzsite, in Arizona. Linda lavora in un campeggio, poi da Amazon, centinaia di km percorsi a piedi a scannerizzare merci per pochi dollari, ma sicuri, all’ora; ai giovani preferiscono gli anziani come lei: sono più affidabili. “Nomadland” è un libro bellissimo e malinconico come certe opere di Steinbeck: “Furore”, soprattutto “Viaggio con Charley”, il racconto del viaggio in furgone che Steinbeck fa con il suo barbone francese. Jessica Bruder lo ha scritto con il cuore, citando sì dati e statistiche, ma indagando nell’animo dei protagonisti. Ne è venuto fuori un reportage giornalistico romanzato con momenti di autentica poesia, come certe parole di Linda e delle sue compagne di viaggio “Tutta la mia vita è stata alta e bassi, e il momento più felice è quello in cui possiedo pochissimo…Le persone vanno e vengono nella tua vita. Non riesci a trattenerle per sempre”.

Angelo Cennamo

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