
Zack Wells insegna geologia in un college di Los Angeles. Ha una moglie (Meg) e una figlia (Sarah) quasi adolescente, abile giocatrice di scacchi. Zack può dirsi un uomo felice: cosa gli manca? Eppure una strana inquietudine sembra attraversarlo fin dalle prime pagine di questa storia, che inizia a dipanarsi con un misterioso ritrovamento: in una delle tasche della giacca che ha appena acquistato su ebay, Zack scopre un biglietto con su scritto “aiutami” in spagnolo. Che significa? A chi è rivolta quella richiesta? Uno stupido scherzo? Negli stessi giorni la vita di Zack viene sconvolta da una notizia improvvisa che riguarda sua figlia, la sua unica figlia. Sono queste le due tracce principali di “Telefono”, l’ultimo romanzo di Percival Everett che nel 2021 ha sfiorato il premio Pulitzer, in Italia edito da La Nave di Teseo con la traduzione di Andrea Silvestri. La storia di Zack, raccontata in prima persona dal protagonista, è perlopiù un resoconto smarginato, nella migliore tradizione di Everett – ricordate “Percival Everett di Virgil Russell” o il più recente “Quanto blu”? – fatto di episodi e sottotrame apparentemente scollegati tra loro, a tratti inutilmente lunghi (la studentessa che cerca di sedurlo, la collega poco considerata dal Rettore, la protesta degli studenti di colore che Wells decide di ignorare nonostante sia anche lui di colore – particolare che scopriamo solo a pagina 92, un classico nella bibliografia del nero per caso Everett). Ma il genio dell’autore non perde smalto, si tiene a galla seguendo nuovi tornanti, primo fra tutti l’idea – prodigiosa – di scrivere non una ma tre versioni del libro, leggermente difformi una dall’altra a seconda della copia acquistata. Un trucco? Non direi. Ritorniamo però alla – alle – vicenda – vicende – del professor Wells. In Italiano Wells si traduce pozzi, cavità; non è un caso: di fronte al proprio dramma familiare, il nostro Zack reagisce fuggendo da se stesso e dai luoghi in cui vive per rintanarsi in una caverna del Gran Canyon prima, e nel deserto del New Mexico poi. Il grido d’aiuto contenuto in quel biglietto non era uno scherzo. Zack decide di ascoltarlo, assecondarlo, e con un po’ di fortuna riesce a seguire la pista giusta, dando così un senso alla tragedia che lo sta schiacciando. Leggere Percival Everett è come saltare nel buio: occorre fidarsi, lasciarsi condurre senza fare tante domande. “Telefono” è un grande romanzo con qualche imperfezione legata al ritmo: la vicenda dolorosa di Sarah in alcuni passaggi centrali può risultare noiosa e trascinata per le lunghe, ma è poco più di un dettaglio all’interno di una narrazione che nel complesso rimane vivace, colta, introspettiva, variegata, di ampio respiro.
Angelo Cennamo