In tutti i libri di Joshua Cohen c’è una tara con la quale il lettore deve fare i conti: l’identità ebraica. Cosa significa essere ebrei nell’America del XX secolo e oltre, come districarsi nel confronto-scontro tra fede e laicità: Cohen se lo chiede spesso. Raccontarsi prima di tutto come parte di una comunità, delimitando le zone di appartenenza e riempiendole di aneddoti, sensibilità, compatimento, sfiorando anche la stereotipia “Judy voleva uscire da quella casa e sbarazzarsi del suo naso, che per lei era troppo lungo, troppo grande, troppo gobbuto” (si legge a pag. 49), è una prerogativa di molti scrittori ebrei, dagli antesignani fratelli Singer ai contemporanei Safran Foer, Lerner, soprattutto Englander. Una mission, si direbbe. La versione di Cohen è molto dotta e analitica secondo uno schema ormai collaudato e riconoscibile. In alcuni passaggi la fiction diventa saggio storico e chi sa poco del sionismo, della sua evoluzione, di fronte a una narrazione fitta di riferimenti – testo e sottotesto, citazioni in lingua yiddish – rischia di non cogliere appieno il senso.

Ruben Blum insegna storia in un college dello Stato di New York, la Corbin University. Siamo nel 1959. Blum è la trasposizione letteraria di Harold Bloom, il decano della critica che ha ispirato/suggerito “I Netanyahu” – romanzo con il quale Cohen si è aggiudicato il Pulitzer nel 2022, in Italia edito da Codice con la traduzione di Claudia Durastanti – raccontando al suo autore una vicenda realmente accaduta. “I Netanyahu” è stato scritto “In memoria di Harold Bloom”. La trama del romanzo è facilmente riassumibile nell’incontro tra Blum e il collega israeliano Ben-Zion Netanyahu, arrivato al Corbin con la moglie e i tre figli al seguito (uno dei tre è Ben, futuro premier israeliano) perché venga vagliata la sua domanda di assunzione come docente. Tutta la storia (260 pagine circa) è ambientata nel College; “I Netanyahu” è quel che si dice una “campus novel”, divertente e dissacrante, lenta, macchinosa nella prima parte, più spigliata nella seconda – l’incontro tra la famiglia Blum e quella dei Netanyahu arriva a cento pagine dalla fine, le migliori del libro.
Bloom diceva che perché uno scrittore possa avere un’identità deve problematizzare il passato e porsi come soluzione ai difetti dei suoi predecessori. Ho preferito il Cohen sperimentalista de “Il libro dei numeri” a questo più erudito e umanista de “I Netanyahu”; forse i Pulitzer si maturano step by step e quello del 2022 Cohen ha iniziato a vincerlo qualche anno fa. Ma va bene così.
Angelo Cennamo
Divertente la parte che riguarda i Netanyahu, interessanti ma a volte pesanti le parti dedicate al tema del sionismo
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