EMPIRE FALLS (IL DECLINO DELL’IMPERO WHITING) – Richard Russo

Romanzo sulla disgregazione, di una comunità, della sua economia, di due famiglie: i Whiting e i Roby. Richard Russo è un newyorchese innamorato del Maine, ed è proprio in questo piccolo stato del nordest americano, affacciato sull’Atlantico, che decide di collocare la sua storia. Il libro esce in un anno cruciale per il destino della nazione e del mondo intero, il 2001; nel 2002 vince il Pulitzer battendo in finale – udite udite – “Le correzioni” di Jonathan Franzen (che si rifarà col National Book Award) e “John Henry Festival” di Colson Whitehead (che di Pulitzer ne vincerà addirittura due qualche anno dopo). I libri di Russo sono delle ottime biografie degli Stati Uniti e “Il declino dell’impero Whiting” – che io preferisco chiamare con il titolo originale “Empire Falls” – così come il più recente “Le conseguenze”, sempre edito da NeriPozza, ce lo confermano. La vicenda, molto lunga, oltre 600 pagine, si snoda attraverso le vite semplici degli abitanti di una piccola cittadina (Empire Falls) dal passato operoso, e che oggi vivacchia con i rimasugli di una stagione non più ripetibile. La stagnazione economica, l’impoverimento dei suoi abitanti, è incarnato da Miles Roby, personaggio che ricorda un po’ il Morris Bober del capolavoro di Malamud per la bontà, la fede, la rettitudine, lo spirito di sacrificio con i quali affronta le dure sfide del presente. Miles cuoce hamburger in una tavola calda (Empire Grill) di proprietà di Francine Whiting, vedova di Charles Whiting e matriarca di una ricca stirpe di imprenditori. La sola speranza di Miles è ereditare il ristorante – la vedova gliel’avrebbe promesso ma non se ne comprendono le ragioni – e assicurare un futuro a Tick, l’unica figlia avuta dal matrimonio (finito anche quello) con Janine. L’Empire Grill è il “luogo” della storia ma anche il crocevia di una narrazione apparentemente lenta, costruita intorno a un infinito viavai, confessioni, ricordi, strane coincidenze, fughe, ritorni, con una polifonia ben calibrata e dialoghi perfetti. Le affinità elettive o inclinazioni artistiche di Miles e del defunto Charles Whiting, arrivato a dirigere l’impero economico del capostipite dopo un decennio di latitanza “poetica” in Messico, sono una traccia interessante. Ma di piste ce ne sono tante altre: il divorzio tra Miles e Janine, che a quarant’anni si è data alla palestra e al sesso sfrenato con Walter Comeau (Volpe Argentata); il rapporto difficile tra Miles e quel “disturbatore della quiete pubblica” di suo padre; gli scontri con il fratello-socio che coltiva marijuana; le tentazioni della traviata Charlene, della quale Miles è silenziosamente innamorato da anni. E poi c’è lei, la matriarca Francine, con i fasti, i fantasmi del passato, e una tragedia familiare poco chiara. 

Le storie di Russo, che scorrono su un doppio binario temporale (l’infanzia e l’età adulta di Miles), sono dense, vaste alla maniera di Whitman; alcuni passaggi possono sembrarci inutili rispetto alla trama principale, ma sono parte di quella “moltitudine” e di un impianto largo che pretende di includere tutto per risultare più credibile e attrattivo.

La voce di Miles è così forte, udibile dal lettore, da annullare quasi la terza persona che Russo ha scelto per raccontarci degli abitanti di quella terra sperduta. Dov’è l’America, cosa accade nel mondo mentre Miles, Max e Janine vivono le loro vite? Un puntino su una mappa geografica, questo è Empire Falls. 

Angelo Cennamo

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