VIZIO DI FORMA – Thomas Pynchon

C’è una cosa che voglio dire di Pynchon prima che me ne dimentichi: Pynchon è forever young, l’eterno ragazzo della letteratura americana; cioè la sua verve narrativa è paragonabile a quella di un adolescente. Prendete ad esempio “Vizio di forma”, il romanzo è uscito nel 2009: Pynchon allora aveva superato i settanta, eppure, leggendo il libro, si ha la sensazione che ne abbia cinquanta di meno. Sarà per la comicità demenziale (alcuni passaggi fanno pensare alla filmografia di Jim Carrey), per la freschezza della scrittura, per il cazzeggio infinito che mette in secondo piano tutto il resto. Come sempre la trama è un pretesto, conta il senso, conta il mood. “Vizio di forma” è prima di tutto il tributo a una stagione finita alla quale Pynchon ha strizzato l’occhio anche in altre pubblicazioni: l’epopea hippy, l’esercito del surf e dell’LSD californiano degli anni Settanta. Se vogliamo, il libro è una gigantesca allucinazione, oltre che un affresco (uh che brutta parola) preciso e sbiadito dal “fumo”. Ma nei rari momenti di lucidità – scherzo – intravediamo eccome una storia noir, divertente, e architettata (occhio a pagina 46) come da uno specialista del genere. Il protagonista di questa storia è Doc Sportello, un investigatore privato (e drogato), reclutato da una vecchia fiamma (Shasta) per indagare sulla scomparsa del suo nuovo amante, un ricco immobiliarista finito in un brutto giro nel quale sarebbe implicata anche la moglie di lui. Doc accetta l’incarico solo perché è ancora innamorato di Shasta, ma già dalle prime battute le cose si mettono male, molto male. 

Per comprendere appieno il talento di Pynchon occorrerebbe leggere i suoi libri in lingua originale, senza nulla togliere alla traduzione di Massimo Bocchiola per Einaudi, e soprattutto conoscere i retroscena della cultura americana che incorniciano ogni storia, a cominciare dalle citazioni musicali. Tutti gli altri sono chiamati a uno sforzo maggiore: può accadere cioè di non capire tutto, di perdere il filo; pazienza, non è questo lo spirito col quale approcciare autori così bizzarri.

I romanzi di Pynchon somigliano a certi abiti stravaganti che vediamo sfilare sulle passerelle dell’alta moda: nessuno si sognerebbe di indossarli, però quanti spunti, quanti suggerimenti. Mappe di orientamento per cogliere il filo (questo è il filo che conta) della buona scrittura contemporanea. Pynchon non può mancare nello scaffale. Pynchon serve. Serve per imparare a leggere meglio e a scrivere meglio. Dicevo di Sportello: che fine farà il nostro Doc? Be’, ecco… diciamo che… ma chissenefrega di Doc Sportello. 

Angelo Cennamo

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