
Norman Mailer, come Philip Roth, John Updike, Woody Allen – i primi che mi tornano in mente – figura nella lista degli scrittori presi di mira dalla Cancel Culture. Per il centenario della sua nascita (il 31 gennaio del 1923, a Long Branch, nel New Jersey) pare che la Random House si sia rifiutata di pubblicare un’antologia di saggi (tra i quali il celebre e indigesto “The White Negro” scritto nel 1957). Beh, la notizia è imprecisa, replicano da casa Random: “La verità è che per il centenario di Mailer noi non abbiamo in programma di pubblicare alcunché”. In Italia, senza tanti distinguo invece (ricordate il boicottaggio dell’autobiografia di Allen?), i libri di Mailer li sta ripubblicando La nave di Teseo, e “Un sogno americano”, romanzo del 1965 (per la cronaca l’anno di “Stoner”), arriva proprio in concomitanza con le cento candeline non spente. Nella vita, Mailer non si è fatto mancare nulla: sei mogli, dieci figli, sfide pugilistiche, regie cinematografiche, amicizie e rivalità con altri protagonisti dell’elite culturale del Novecento americano, alcol, droga, scatti d’ira anche di una certa rilevanza penale. Una trentina le opere lasciate in bacheca (fecondo anche come scrittore), non tutte però degne di nota come “Il nudo e il morto”, il capolavoro assoluto, il più bel romanzo sulla Seconda Guerra Mondiale.
Giudicare però “Un sogno americano” secondo i parametri de “Il nudo e il morto” sarebbe un errore. Qui la guerra c’entra poco o nulla, al limite potremmo considerarla un antefatto: Stephen Richard Rojack, il protagonista, dopo essersi laureato cum laude ad Harvard, è stato decorato anche sui campi di battaglia. Insomma, Steve Rojack è un eroe di guerra. Cos’altro. Docente di psicologia in una prestigiosa università newyorchese, conduttore televisivo, politico eletto al Congresso degli Stati Uniti, marito di una bellissima e ricchissima ereditiera (ma non per molto). Quanto tempo è davvero trascorso dall’uxoricidio di Deborah (Mailer accoltellò e quasi uccise la sua seconda moglie) alla fine di questa storia? La tormentata vicenda matrimoniale si esaurisce nei primi capitoli: lui va a trovare lei (ora abitano in case separate). Lei si diverte a stuzzicarlo. Ancora. Anche adesso. Lui le mette le mani al collo, stringe, poi scende al piano di sotto a fare sesso con Ruta, la cameriera, mentre il cadavere di Deborah giace supino sull’altro letto. Deborah è morta. “E su questo non potevano esserci dubbi: era morta, sì, era proprio morta”.
“Ma è davvero morta? Morta sul serio? Morta come sono i morti?, fa dire Philip Roth a Peter Tarnopol ne “La mia vita di uomo”. Roth e Mailer, Updike e Roth: curiose simmetrie. Ma che tipo è questo Rojack? C’è da fidarsi di quello che dice?
In “Nulla, solo la notte” un esordiente John Williams, in poco meno di centocinquanta pagine, racconta una giornata dello sfaccendato Arthur Maxley. Arthur sembra uscito da un incubo. La storia smarginata e confusa di Steve ricorda quella del “parassita” di Williams. Più che una sequenza di fatti reali, il racconto (in terza persona) è come la gigantesca allucinazione di un uomo depresso risucchiato in un vortice di immagini poco nitide, pensieri, simulazioni. Rojack, Deborah, il suicidio/omicidio, gli interrogatori al commissariato, il tentativo dei poliziotti Roberts e Leznicky (due matti) di estorcere la confessione (qui siamo nella fase noir); l’incontro subito dopo con Cherry, la cantante sensuale conosciuta proprio al commissariato. La giostra di Mailer è briosa, senza sosta e senza appigli. Un romanzo dirompente, postmoderno, e una New York in grande spolvero.
Angelo Cennamo