
Harry Angstrom è un uomo di mezza età. Ora lo vediamo andare in giro per le strade di Brewer – Pennsylvania – a bordo di una Toyota Corona color zuppa di pomodoro riscaldata, sicuro di sé. Harry ha ereditato la concessionaria del suocero “il re degli imbroglioni”, stecchito da un infarto. Gli affari vanno a gonfie vele, i soldi girano: Harry può dirsi finalmente un americano realizzato. È “l’uomo in vetrina”. Il direttore. Si gode il denaro delle auto vendute “gli piace sguazzare nei soldi” e il rispetto degli abitanti di Brewer “gli piacciono i cenni di saluto che gli riserva la cittadinanza, dopo averlo considerato men che spazzatura dai tempi del liceo in poi”. Con lui, quasi al timone della barca, c’è il vecchio e malaticcio Charlie Stavros che dieci anni prima aveva avuto una relazione con sua moglie Janice. Ma Harry non serba rancore. Harry è un uomo di ampie vedute in fatto di sesso e quello che succederà nelle ultime pagine di questo terzo capitolo della serie ci confermerà che il lupo perde il vizio ma non il pelo.
Siamo nel 1979. Di acqua ne è passata sotto i ponti, eppure Coniglio non sembra cambiato più di tanto neppure fisicamente. Dopo il lavoro può sgranchirsi le gambe stando all’aria aperta, giocare a golf, sfogliare la sua rivista preferita, e ricominciare a considerare Janice come una donna desiderabile, una donna con cui fare sesso, e non solo mentre lei dorme.
Cosa o chi potrebbe turbare questo clima di benessere a tutto tondo, a parte la presenza sempre minacciosa della matriarca Bessie, la suocera che come un puparo muove i fili della famiglia Angstrom? L’uragano che si profila all’orizzonte di queste giornate di calma apparente ha le sembianze di un picchiatello a un passo dalla laurea, la giovane testa di cazzo della famiglia, degno discepolo di Coniglio. Dal Midwest arriva quel “piccolo punk tristanzuolo” di Nelson, il figlio di Harry e Janice, con un obiettivo preciso: lavorare con papà e chissenefrega degli ultimi tre esami da dare all’università. La pace è finita. Harry è nel panico “Tu mi prometti solo di girare al largo dalla mia concessionaria e di riportare il culo nell’Ohio”, dice a quel nanerottolo di poco più di un metro e settanta (ma sarà davvero figlio suo?).
“Sei ricco, Coniglio”, romanzo del 1981, premio Pulitzer meritatissimo, è con “Riposa, Coniglio” (l’ultimo capitolo della fortunata serie), “Il centauro” e “Coppie”, una delle vette più alte della prolifica carriera letteraria di questo gigante del Novecento americano, da qualche anno scivolato nello scaffale dei dimenticati e come Philip Roth nel tritacarne di filologi bigotti e invasati catechisti del romanzo. “Updike sa tutto delle Toyota, mentre io che vivo in campagna non conosco neppure i nomi degli alberi”. La celebre riflessione di Roth sulla capacità dell’amico rivale di documentarsi su tutto prima di scrivere, contiene un dato interessante. Mette in luce una prerogativa di Updike che salta subito agli occhi del lettore e che fa la differenza in una possibile o impossibile comparazione tra questi due scrittori tra i quali, nonostante tutto, esistono diversi punti di contatto. Roth si è concentrato sugli aspetti immateriali dell’esperienza umana: la vita, la morte, l’amore in tutte le sue forme, l’odio, la famiglia, la religione, la malattia, la verità e la finzione, la scrittura soprattutto. Updike ha esplorato la materia, è entrato nei dettagli della quotidianità, ma della quotidianità dell’uomo qualunque più che degli intellettuali o degli uomini d’affari che popolano l’universo borghese dello scrittore di Newark. Il realismo pragmatico, il precisionismo di Updike riempiono un vuoto che Roth non ha mai pensato di dover colmare. Ma è sul sesso che John e Philip sembrano sovrapporsi con poche differenze. “Sei ricco, Coniglio” precede “Il teatro di Sabbath” – cito due libri esemplari sotto questo aspetto – di quattordici anni. La cronologia suggerisce una possibile influenza (?) del primo sul secondo nella descrizione dei momenti di intimità:
Coniglio Angstrom, che trova in un cassetto gli scatti porno della moglie del vecchio Webb, è a un passo dall’onanismo di Mickey Sabbath, il personaggio di Roth sorpreso dall’amico Norman nella vasca da bagno con in mano una foto di sua figlia. Scene da un matrimonio, quello di Harry e Janice, passato tra adulteri, fughe, ripicche, ma più solido di quanto si creda. E la storia continua.
Angelo Cennamo