SCRIVERE PER SALVARE UNA VITA (La storia di Louis Till) – John Edgar Wideman

Estate del 1955. Un ragazzo di colore parte in treno da Chicago per fare visita alla sua famiglia in Mississippi. Poche settimane dopo ritorna a casa, ma il suo corpo è chiuso in una bara. Emmott Till ha solo quattordici anni quando viene massacrato e gettato in un fiume per aver – forse – fischiato a una donna bianca. John Edgar Wideman, scrittore afroamericano, pluripremiato, autore di libri bellissimi come “Fratelli e custodi” e “Due città” (non perdeteveli), nel 1955 aveva la stessa età di Emmott Till, e il ricordo di quel clamoroso caso di cronaca, in bianco e nero anche nella sua rappresentazione mediatica, se l’è portato dietro per tutta la vita. Emmott e John Edgar in questo reportage romanzato sono le due facce di una stessa “negritudine”, quasi simmetrica nell’esperienza del pregiudizio e della costante umiliazione. Emmott a Chicago, John Edgar a Pittsburgh, Pennsylvania.Gli assassini di Emmott vengono processati e assolti perché la vittima del delitto è un negro, scrive Wideman, ma anche per una seconda ragione, non meno abietta della prima: dieci anni prima il padre di Emmott, Louis Till, era stato giustiziato in Italia dall’esercito americano con l’accusa di aver stuprato e ucciso una donna bianca. Le due vite, entrambe stroncate in giovane età, sono simbolicamente legate da un anello: l’anello che Emmott porta al dito quando il suo corpo viene ripescato dalle acque del fiume era appartenuto al padre. Un ricordo, forse l’unico rimasto.”Questo testo non diventerà il romanzo su Emmett Till su cui ero convinto di lavorare. Tutte le parole che seguono sono il frutto del mio desiderio di trovare un qualunque senso nell’oscurità americana che separa i padri di colore dai figli, un’oscurità in cui figli e padri perdono le tracce gli uni degli altri.” 
L’identificazione dell’autore con la storia familiare dei Till è un propellente per la ideazione e la scrittura del libro. Wideman è alla ricerca di nuove verità ma non è un’operazione semplice: sono trascorsi molti decenni da quei fatti, e poi neppure la verità riesce a raccontare la verità, occorre inventarsi una finzione “In qualità di scrittore alla ricerca della verità su Louis Till, ho scelto di concedermi alcune prerogative – licenza potrebbe essere una parola più adeguata. Mi sono assunto il rischio di lasciare che la mia finzione narrativa entrasse nelle storie vere di altre persone. E, per correttezza, ho permesso che le storie di altre persone sconfinassero nella realtà della mia”.   Attraverso frammenti e appunti disordinati di un vecchio dossier inviatogli da un archivio della Virginia, Wideman ricostruisce i passaggi salienti delle due vicende, quella del figlio e quella del padre, mescolando il pubblico al privato, e il privato dei Till al suo privato. “Tutti nel dossier Till mentono”. Wideman giunge alla conclusione che quello di Till è un reato “di esistenza”. Nessuna sorpresa neppure per il lettore, che leggendo il libro rimane quasi ipnotizzato da una sequenza di fatti e misfatti atroci ed umani al tempo stesso. La mente corre ad altri precedenti di questo genere letterario, dal capolavoro di Harper Lee – l’archetipo – alla più recente variante sul tema di Casey Cep “Ore disperate”. Nelle scene ambientate o idealmente collocate tra Caserta e Napoli al tempo della seconda guerra mondiale, ho pensato a “La Pelle” di Curzio Malaparte. Wideman ha scritto un libro potente e malinconico, lo ha fatto scegliendo le parole giuste e fuori da ogni facile retorica. C’è tanta America in questo libro. L’America di ieri, l’America di sempre. 

Angelo Cennamo

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